sabato 22 settembre 2012

La religione


La Namibia è ufficialmente un paese cristiano in cui il luteranesimo tedesco è la confessione dominante, ma nella realtà molte credenze africane mantengono una posizione fondamentale nella vita religiosa.

Punto d’incontro di culture e lingue diverse, in Namibia non esiste un unico credo. Le popolazioni native hanno le loro tradizioni e le loro proprie credenze; ad esempio, i damara utilizzano molti nomi diversi per il loro dio, mentre tra gli herero coesistono tabù differenti a seconda del clan di appartenenza. Eppure, nonostante la diversità delle forme religiose, si avverte un elemento comune che lega le varie credenze native: la convinzione che Dio abbia creato il mondo e che da allora lo protegga. La suprema divinità risponde a nomi diversi all’interno dei vari clan, e nello stesso modo esistono concezioni differenti del “divino”, ma in ultima analisi sia il “Creatore” che il “Guardiano della Terra” sono per tutti lo stesso dio. I miti tramandati oralmente dalle popolazioni namibiane narrano della relazione originaria e di un patto tra Dio e l’uomo, spezzato da un “errore” commesso da un uomo o da un animale. Nonostante ciò, per le comunità degli africani Dio continua ad esistere e a ricoprire un’importanza fondamentale.

Quando i missionari cristiani scoprirono che le popolazioni native non officiavano alcun rito per celebrare la loro fede religiosa ne rimasero sconcertati, e lo interpretarono come il risultato di una riprovevole diffusione di usanze pagane.

Esprimere una valutazione basata sulla tradizione del culto europeo impedì loro di comprendere un concetto basilare: in Africa, Dio è un’entità talmente sacra e superiore all’uomo che difficilmente si osa pronunciarne il nome. 
Quando si nomina Dio, è necessario farlo con la massima prudenza, anche perché gli uomini sulla terra entrano in contatto con l’essere divino grazie all’intercedere di coloro che hanno il privilegio di essergli più vicini: gli antenati, che le popolazioni africane chiamano “i morti viventi”. 
Infatti, le religioni tradizionali credono che coloro che muoiono non siano veramente morti, ma abbiano assunto una diversa forma di vita e rimangano in contatto con i viventi, continuando a far parte della famiglia per sempre. 
Ne derivò il secondo fondamentale errore dei missionari europei: essi si convinsero che il “vero culto” fosse stato sostituito, nelle tradizioni religiose dei nativi, dal “culto degli antenati”, di ispirazione tipicamente umana. Una visione limitata, che li portò a conclusioni errate. 
Infatti, le tradizioni africane non distinguono tra sacro e profano, perché la vita quotidiana e quella spirituale costituiscono un tutto indivisibile e non si possono scindere l’una dall’altra.

In Namibia, le statistiche “ufficiali” dichiarano che circa il 90% della popolazione è di religione cristiana. Questo fa pensare che solo una minima percentuale di namibiani professi la fede tradizionale. 
I culti ancestrali e le tradizioni animiste sono maggiormente concentrati nelle regioni più settentrionali, tra i san e gli himba del Kaokoland. In effetti, i missionari perseguirono l’obiettivo di introdurre la cristianità nel paese con particolare zelo, ma non sarebbe corretto affermare che l’intera popolazione della Namibia segue la fede cristiana e la pratica in modo simile alle più importanti chiese europee. La religione cristiana è stata influenzata da molte tradizioni locali, ma ha mantenuto una propria identità e non si è mai separata dalla cultura tradizionale.

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