venerdì 30 novembre 2012

I primi abitanti (1)

Foto di Namibia
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Nonostante non esistano evidenze archeologiche che colleghino con certezza i popoli del Neolitico e i primi khoisan, si ritiene che i primi abitanti dell’Africa sud-occidentale di cui sono rimaste tracce documentate furono i san, o boscimani, chiamati “uomini della boscaglia” dai primi esploratori e “uomini scorpione” dalle altre popolazioni africane.

Foto di Namibia
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Più piccoli di statura e di carnagione più chiara della maggioranza degli altri popoli africani, i khoisan parlavano una lingua caratterizzata da singolari schiocchi della lingua e insoliti suoni consonantici; non praticavano l’agricoltura e non conoscevano la lavorazione del ferro.

Un popolo nomade, organizzato in grandi gruppi familiari, in continuo movimento in questa zona poco abitata, in grado di adattarsi alle difficili condizioni del territorio alla ricerca di piante commestibili e di animali da cacciare. 

Foto di Namibia
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Fieri ed indipendenti, i san impararono a difendersi dalle insidie e dai pericoli diventando un tutt’uno con la natura selvaggia, ma soprattutto furono eccezionali cacciatori, in grado di braccare le proprie prede per giorni. 

I primi esploratori europei ebbero timore di un popolo così autonomo e legato alla natura, mentre le altre popolazioni dell’Africa centro-meridionale li consideravano solo dei selvaggi, ed entrambi li sterminarono ritenendoli pericolosi.



Più o meno 26mila anni fa, un gruppo di khoisan stanziato nel nord del Botswana fu iniziato all’allevamento da altre popolazioni; diventarono pastori, aumentarono e rapidamente si diffusero sul territorio. 

Si diedero il nome di khoikhoi ,“uomini degli uomini”, o popolo nama, e iniziarono a chiamare san i cacciatori-raccoglitori.

I khoikhoi avevano un’organizzazione tribale e si dedicavano all’allevamento, pertanto non avevano la necessità di spostarsi in continuazione per sopravvivere; i rudimentali utensili in terracotta ritrovati nelle caverne risalgono a questo periodo. 

I khoikhoi si diffusero sempre più e gradualmente si sostituirono ai san.


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giovedì 29 novembre 2012

Namibia, la Preistoria (2))

Foto di Namibia
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Il sottogruppo dei khoisan visse in relativo isolamento nelle regioni degli odierni Namibia, Botswana e Sudafrica per circa 40mila anni. 

Svariati utensili – lame, asce e scalpelli rudimentali – che risalgono all’Età della Pietra (Paleolitico e Mesolitico, tra 25mila e 27mila anni fa) sono stati rinvenuti in siti sparsi su tutto il territorio, anche nel Namib Desert. 

Una società organizzata che viveva di caccia e raccolta fu sviluppata nel Mesolitico dai boskop, i presunti antenati dei san; gli strumenti di legno, di pietra e di ossa animali erano già sofisticati, l’utilizzo del fuoco era universalmente diffuso e gli uomini si adornavano il corpo servendosi di pigmenti naturali. 

Foto di Windhoek
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Il maggior numero di reperti è stato ritrovato intorno a sorgenti naturali, sulla costa e in prossimità di corsi d’acqua stagionali.

A far data dall’8mila a.C. iniziarono a produrre vasellame; le incisioni e le pitture sulle rocce – come quelle di Twyfelfontein e Brandberg – testimoniano di una fiorente civiltà di tipo neolitico, detta “Wiltoniana”, successivamente distrutta dall’arrivo dei primi europei alla fine del XVI° secolo.

Foto di Windhoek
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Nel centro dell’odierna Windhoek il ritrovamento di altri reperti sembra indicare che nel Paleolitico e nel Neolitico questi cacciatori-raccoglitori si spostassero da una zona all’altra seguendo le migrazioni stagionali degli elefanti e di altri animali di grossa taglia. 

In Namibia, in particolare nel Damaraland e nelle montagne di Huns, a sud del paese, sono state trovate lastre di pietra raffiguranti riti di natura religiosa e scene di vita domestica.

Foto di Windhoek
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mercoledì 28 novembre 2012

Namibia, la Preistoria (1)

Foto di Namibia
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La storia della Namibia si perde nella notte dei tempi, all’interno del contesto multiforme dell’evoluzione dei primi esseri umani. 

Gli studiosi sono ormai concordi nel ritenere che l’Africa sia la culla dell’umanità, e le ricerche paleontologiche hanno confermato che le prime forme di specie umana oggi note si manifestarono proprio nel continente africano. 

Foto di Namibia
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Per descrivere queste primitive forme umane gli antropologi utilizzano il termine “ominidi” e li distinguono sulla base di caratteristiche fisiche differenti. 

Nell’intera regione meridionale del continente africano sono stati ritrovati insediamenti e strumenti riconducibili ai primi ominidi che si muovevano in posizione eretta (homo erectus).

In Namibia, documentate da graffiti rupestri splendidamente conservati grazie al clima secco, le prime tracce risalgono a 20-30mila anni fa. 

Foto di Namibia
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Nel 1991 un gruppo di paleontologi franco-americani fece una scoperta eccezionale nelle montagne di Otavi, a nord di Windhoek, rinvenendo un fossile di mascella di antropoide risalente al Miocene medio, tra 12 e 15 milioni di anni fa, chiamato Uomo di Otjiseva (Otaviphitecus namibiensis). 

Foto di Namibia
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Si tratta di una scoperta sensazionale in quanto è la prima di questo genere in regioni a sud del Kenya.

Tracce di Homo sapiens, diretto progenitore dell’umanità attuale, sono state trovate in tutta l’Africa meridionale. 

I marker genetici delle varianti africane dell’ Homo sapiens sono chiamati negroidi per distinguerli dalle varianti caucasiche e mongoloidi trovate in altre zone.  

Tuttavia differenti gruppi – parzialmente isolati gli uni dagli altri – si svilupparono all’interno dell’insieme genetico negroide. 

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martedì 27 novembre 2012

..... Namibia romantica ....

Foto di Namibia
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......... Un saliscendi di tortuosi sentieri conduce all'altopiano del Damaraland meridionale, e le pietraie lasciano il posto a una distesa di erbe di un verde tenue, quasi irreale, in cui la pista di terra color ocra è come un segno di pennello di un artista capriccioso ....

Foto di Damaraland
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........ branchi immensi di springbok, le piccole antilopi saltanti, invadono la prateria, e sulle erte dei massicci le timidi zebre di montagna ci guardano stupite, noi rumorosi invasori del loro regno fatto di silenzi secolari .....

Foto di Damaraland
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..... cespugli di euforbiacee movimentano il mare d'erba, mentre ammassi di granito rosa si ergono dalla piana come scogli ......

Foto di Damaraland
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..... lontano a oriente la massiccia cima del Brandberg domina l'orizzonte, infiammata dal sole morente che la copre di un manto cremisi .... (Robo Gabr'Aoun)

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lunedì 26 novembre 2012

Okonjima & AfriCat Foundation

Foto di Cheetah Conservation Fund, Otjiwarongo
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All'interno della splendida Guest Farm di Okonjima, a ovest della statale B1, circa a 35 km da Otjiwarongo, ha sede AfriCat Foundation, un'organizzazione non-profit per la conservazione e la protezione dei carnivori selvatici della Namibia.

Foto di Cheetah Conservation Fund, Otjiwarongo
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Okonjima, che in lingua Herero significa "il posto dei babbuini", dispone di due piccoli lodge di lusso immersi in un paesaggio montagnoso di acacie.

Foto di Cheetah Conservation Fund, Otjiwarongo
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La sua opera pionieristica nella reintroduzione nell'ambiente naturale di grossi felini le ha valso numerosi premi internazionali di ecologia ed eco-turismo fin dal 1997.

Foto di Cheetah Conservation Fund, Otjiwarongo
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Tra questi riconoscimenti figurano il Genesis Award (Discovery Channel Bbc/Ark Trust Inc.), il Green Trust Award del Wwf e, nel 2004, il World Travel Award come miglior safari in Namibia.

Foto di Cheetah Conservation Fund, Otjiwarongo
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La fondazione lavora in collaborazione con gli allevatori per trovare il modo di salvaguardare le popolazioni di ghepardi e di leopardi.

Foto di Cheetah Conservation Fund, Otjiwarongo
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Ospita e cerca di reintrodurre, ove possibile, anche i carnivori catturati o feriti e orfani.
Dalla nascita del progetto, partito nel 1991, più di 800 ghepardi e leopardi sono passati da Okonjima e l'AfriCat Foundation ha contribuito in modo decisivo a salvare un gran numero di questi felini dalla morte.

Foto di Okonjima - home of AfriCat, Otjiwarongo
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Quando è possibile i felini vengono reintrodotti nell'ambiente selvatico in località nelle quali non possano danneggiare gli allevatori.

Foto di Okonjima - home of AfriCat, Otjiwarongo
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L'80% circa dei ghepardi e il 90% dei leopardi sono stati curati e reintrodotti.
Quelli che non possono ritornare nei loro habitat vivono a Okonjima.

Foto di Okonjima - home of AfriCat, Otjiwarongo
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Si tratta principalmente di ghepardi rimasti orfani quando erano ancora cuccioli e che non hanno mai imparato a cacciare dalle loro madri e, dato che le loro capacità di sopravvivenza non sono frutto dell'istinto, ma devono essere loro insegnate, non sono in grado di mantenersi per conto loro allo stato brado.

Foto di Okonjima - home of AfriCat, Otjiwarongo
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Se trascorrete la notte a Okonjima vi daranno un programma informativo completo e avrete la possibilità di osservare la nutrizione di ghepardi e leopardi.

Foto di Okonjima - home of AfriCat, Otjiwarongo
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Alcuni ghepardi possono essere seguiti a piedi, ci sono degli itinerari guidati dai Boscimani e dopo cena gli ospiti possono osservare da un nascondiglio le creature della notte, quali istrici e mellivori. Spesso appaiono anche leopardi.

Foto di Okonjima - home of AfriCat, Otjiwarongo
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www.okonjima.com

www.africat.org


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domenica 25 novembre 2012

Fish River Canyon, Trekking, Itinerario 5° giorno

Foto di Ai-Ais Hot Springs Resort, Fish River Canyon
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Quinto giorno
dalla tomba di von Trotha ad Ai-Ais
dislivello in salita: 100 metri
dislivello in discesa: 150 metri
tempo: 7 ore

Piuttosto lunga come sviluppo ma su terreno senza troppi problemi, la quinta e ultima tappa del trekking conduce direttamente gli escursionisti a un riposante bagno nelle sorgenti termali di Ai-Ais.

Un tratto quasi rettilineo della valle porta a un bel lastricato di rocce basaltiche, più avanti si toccano il Fool’s Gold e un insediamento in rovina.

Alla fine, dove le pareti del canyon si abbassano e perdono di imponenza, si raggiunge Ai-Ais.

Foto di Ai-Ais Hot Springs Resort, Fish River Canyon
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sabato 24 novembre 2012

Fish River Canyon, Trekking, Itinerario 4° giorno

Foto di Fish River Canyon
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Quarto giorno
dalla pianura sabbiosa alla tomba di von Trotha
dislivello in salita: 150 metri
dislivello in discesa: 200 metri
tempo: 6 ore

Lasciata alle spalle la pianura sabbiosa si prosegue per un altro meandro, si raggiunge una zona più ricca di vegetazione – il Bushy Corner -, si supera un altro meandro e poi si lascia il letto del fiume per il sentiero che effettua una scorciatoia “tagliando” un promontorio della sponda ovest.

Si attraversa il Fish River in vista di un caratteristico gruppo di torrioni – la Four Fingers Rock – e poi ci si inoltra lungo una seconda e più lunga scorciatoia, tornando ancora al Fish River a poca distanza dalla tomba del tenente tedesco Thilo von Trotha.

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venerdì 23 novembre 2012

Fish River Canyon, Trekking, Itinerario 3° giorno

Foto di Fish River Canyon
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Terzo giorno
dalle Sulphur Springs alla pianura sabbiosa
dislivello in salita: 50 metri
dislivello in discesa: 100 metri
tempo: 6 ore

Superate le Sulphur Springs, il canyon inizia ad allargarsi, mentre i massi e la sabbia soffice del primo tratto lasciano spazio a un suolo ghiaioso e più comodo.

Il sentiero prosegue lungo le rive del fiume, percorre un tratto meno tortuoso della valle e poi raggiunge un’altra serie di imponenti meandri dominati nel versante orientale – destra per chi cammina – dai ripidi contrafforti rocciosi della Table Mountain.

Ci si accampa più avanti, in una magnifica e caratteristica piana sabbiosa ai piedi delle pareti rocciose del canyon.



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giovedì 22 novembre 2012

Fish River Canyon, Trekking, Itinerario 2° giorno

Foto di Fish River Canyon
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Secondo giorno
dallo Hell’s Corner alle Sulphur Springs
dislivello in salita: 50 metri
dislivello in discesa: 100 metri
tempo: 5 ore

Altra giornata non particolarmente lunga, nella quale però occorre fare i conti con il terreno ancora scomodo e faticoso.

Si continua senza mai allontanarsi dal fiume, superando altri due affioramenti di dolerite.

Poco oltre l’ultimo affioramento, si lascia a sinistra un sentiero che può fungere da scappatoia, e si segue verso sud la valle fino alle Sulphur Springs, caratterizzate da un gruppo di palme.

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mercoledì 21 novembre 2012

Fish River Canyon, Trekking, Itinerario 1° giorno

Foto di Fish River Canyon
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Primo giorno
dal Belvedere Nord allo Hell’s Corner
dislivello in salita: 50 metri
dislivello in discesa: 600 metri
tempo: 5 ore

Giornata abbastanza breve, nella quale anche chi raggiunge relativamente tardi il canyon può acclimatarsi senza troppa fatica.

Chi parte molto presto può puntare a percorrere un tratto più lungo e a raggiungere le Sulphur Springs già nel corso della prima tappa.

La camminata inizia dal belvedere più settentrionale sul Fish River, da cui un ripido ed esposto sentiero, attrezzato in qualche tratto con delle catene metalliche, consente di perdere 600 metri di dislivello in circa un’ora e di raggiungere il fondovalle.

Da qui in poi il percorso è evidente e segue i numerosi meandri della valle, addentrandosi nella sua parte più stretta e selvaggia, lo Hell’s Corner.

Dopo un caratteristico affioramento di dolerite, si può scegliere tra numerosi posti per accamparsi.

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martedì 20 novembre 2012

Fish River Canyon & popolazioni

Foto di Fish River Canyon
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Per quanto isolato e selvaggio, il Fish River Canyon è conosciuto dall’uomo fin da tempi molto lontani.

Secondo i San, uno dei primitivi popoli del deserto, il canyon fu creato dal serpente Koutelga Kooru, che si ritirò qui in una profonda tana per sfuggire ai cacciatori che lo inseguivano.

Le sorgenti termali di Ai-Ais devono invece il loro nome ai Khoikhoi.
Nella loro lingua, questa parola significa “bollente”.

Le tribù più meridionali del popolo dei Nama hanno percorso questi aridi valloni in cerca di selvaggina e qui si sono duramente scontrate con l’esercito coloniale tedesco.

Lungo il sentiero che segue il fondovalle, quei giorni difficili sono ricordati dalla tomba del tenente Thilo von Trotha, colpito alla confluenza del Goschadrift durante uno scontro con gli abitanti della zona.

Foto di Fish River Canyon
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Nel 1965 arrivò la nascita di una riserva faunistica intorno ad Ai-Ais, mentre nel 1969 l’intera area è diventata uno splendido Parco Nazionale esteso su poco più di 49.000 ettari.

Una dimensione superata di molto venti anni più tardi con l’istituzione della Ai-Ais Conservation Area, magnifica area protetta di oltre 346.000 ettari, che include anche le solitarie e poco conosciute Huns Mountains che si alzano ad ovest del Fish River e offrono un paesaggio paragonato da molti viaggiatori a quello della Luna.

La Fish River Conservation Area si raggiunge in poco più di 120 km da Grünau, a 165 km da Keetmanshoop e a 259 km da Springbok, sulla strada che collega Windhoek con il confine sudafricano e Cape Town.

Foto di Fish River Canyon
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Equipaggiamento: normale da trekking, necessarie tenda e autonomia per i viveri.

L’itinerario è aperto e accessibile dal 1° maggio al 31 agosto di ogni anno.


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lunedì 19 novembre 2012

Fish River Canyon & Trekking

Foto di Fish River Canyon
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Nell’angolo più meridionale della Namibia, il Fish River Canyon è una delle più grandi meraviglie naturali dell’Africa.

Lunga 160 km, larga fino a 25, profonda in media 500 m, è una gola impressionante scavata da questo affluente dell’Orange, e per dimensioni è la seconda della Terra dopo il Grand Canyon del Colorado.

Il Fish River Canyon è un museo geologico all’aperto e uno straordinario terreno di avventura.

Foto di Fish River Canyon
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Ammirata di frequente dall’alto, e cioè dai turisti motorizzati che sostano ad ammirare il panorama mozzafiato sul canyon dai belvedere costruiti sulla sponda orientale, la valle del Fish River (Vis Rivier in Afrikaans) offre agli appassionati del trekking uno dei percorsi più affascinanti dell’intero continente africano, in un ambiente selvaggio, spettacolare e ricco di sorprese, che richiede almeno 4 giorni di impegno.

Foto di Fish River Canyon
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Il percorso, che misura circa 80 km, è fattibile a causa del clima solo nel cuore dell’inverno australe – quindi dall’inizio di maggio a fine agosto – ed è possibile solo a chi presenta ai ranger all’ingresso un certificato di idoneità fisica.

Motivi di sicurezza fanno sì che l’accesso al sentiero sia permesso solo a gruppi di almeno tre camminatori.

Per limitare l’impatto ambientale, possono incamminarsi sul sentiero non più di 40 persone al giorno.

La prenotazione è quindi consigliata, anche se piccoli gruppi possono sperare sul mancato arrivo di qualche trekker.

Foto di Fish River Canyon
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Il primo e il più forte motivo di interesse del sentiero sono le forme bizzarre delle rocce e la straordinaria imponenza delle muraglie che chiudono i fianchi del canyon, nelle quali si alternano arenaria, calcare, scisti e granito.

Caratteristiche e suggestive sono le intrusioni di dolerite, una roccia basaltica.

Inconsueta ed emozionante è anche la vicinanza del fiume, che con i suoi 760 km è il più lungo della Namibia.

Foto di Fish River Canyon
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Molto ricca – relativamente all’aspro clima del deserto – è anche la fauna terrestre della zona.

Nella Fish River Canyon Conservation Area si incontrano facilmente springbok, klipspringer, la zebra di montagna di Hartmann, l’hyrax e numerosi babbuini.

Il leopardo si lascia avvistare solo in casi eccezionali.

Intorno ad Ai-Ais sono state censite più di 60 specie di uccelli.

Facili da osservare dal fondo del canyon sono gli avvoltoi e le aquile, che planano sull’aria calda che sale dalle profondità del fondovalle.

Tra le specie particolarmente interessanti per il trekker appassionato di birdwatching ci sono l’anatra nera africana, il pettirosso del Capo, l’airone grigio e lo hamerkop, un caratteristico trampoliere di colore marrone.

Accanto alle pozze d’acqua stagnante sulle rive del fiume si avvista spesso il varano del Nilo, un grosso ma pacifico lucertolone conosciuto in Namibia con il nome indigeno di leguaan.

Foto di Fish River Canyon
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Molto scarsa è invece la flora, che a causa del clima torrido del deserto si limita a poche specie di piante grasse.

Sul fondo del canyon, le cicliche inondazioni impediscono la presenza di piante d’alto fusto, che trovano invece qualche spazio nei profondi valloni secondari che scendono in direzione del fiume, dove è possibile ammirare piante di acacia e di ebano.

Ovunque, la pianta più comune è l’Euphorbia gregaria, cui si affiancano varie altre specie spinose dei climi desertici.

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