La Namibia è ufficialmente un paese cristiano in cui il
luteranesimo tedesco è la confessione dominante, ma nella realtà molte credenze
africane mantengono una posizione fondamentale nella vita religiosa.
Punto d’incontro di culture e lingue diverse, in Namibia non
esiste un unico credo. Le popolazioni native hanno le loro tradizioni e le loro
proprie credenze; ad esempio, i damara utilizzano molti nomi diversi per il
loro dio, mentre tra gli herero coesistono tabù differenti a seconda del clan
di appartenenza. Eppure, nonostante la diversità delle forme religiose, si
avverte un elemento comune che lega le varie credenze native: la convinzione
che Dio abbia creato il mondo e che da allora lo protegga. La suprema divinità
risponde a nomi diversi all’interno dei vari clan, e nello stesso modo esistono
concezioni differenti del “divino”, ma in ultima analisi sia il “Creatore” che
il “Guardiano della Terra” sono per tutti lo stesso dio. I miti tramandati
oralmente dalle popolazioni namibiane narrano della relazione originaria e di
un patto tra Dio e l’uomo, spezzato da un “errore” commesso da un uomo o da un
animale. Nonostante ciò, per le comunità degli africani Dio continua ad
esistere e a ricoprire un’importanza fondamentale.
Quando i missionari cristiani scoprirono che le popolazioni
native non officiavano alcun rito per celebrare la loro fede religiosa ne
rimasero sconcertati, e lo interpretarono come il risultato di una riprovevole
diffusione di usanze pagane.
Esprimere una valutazione basata sulla tradizione del culto
europeo impedì loro di comprendere un concetto basilare: in Africa, Dio è
un’entità talmente sacra e superiore all’uomo che difficilmente si osa
pronunciarne il nome.
Quando si nomina Dio, è necessario farlo con la massima
prudenza, anche perché gli uomini sulla terra entrano in contatto con l’essere
divino grazie all’intercedere di coloro che hanno il privilegio di essergli più
vicini: gli antenati, che le popolazioni africane chiamano “i morti viventi”.
Infatti, le religioni tradizionali credono che coloro che muoiono non siano
veramente morti, ma abbiano assunto una diversa forma di vita e rimangano in
contatto con i viventi, continuando a far parte della famiglia per sempre.
Ne
derivò il secondo fondamentale errore dei missionari europei: essi si
convinsero che il “vero culto” fosse stato sostituito, nelle tradizioni
religiose dei nativi, dal “culto degli antenati”, di ispirazione tipicamente
umana. Una visione limitata, che li portò a conclusioni errate.
Infatti, le tradizioni
africane non distinguono tra sacro e profano, perché la vita quotidiana e
quella spirituale costituiscono un tutto indivisibile e non si possono scindere
l’una dall’altra.
In Namibia, le statistiche “ufficiali” dichiarano che circa
il 90% della popolazione è di religione cristiana. Questo fa pensare che solo
una minima percentuale di namibiani professi la fede tradizionale.
I culti
ancestrali e le tradizioni animiste sono maggiormente concentrati nelle regioni
più settentrionali, tra i san e gli himba del Kaokoland. In effetti, i
missionari perseguirono l’obiettivo di introdurre la cristianità nel paese con
particolare zelo, ma non sarebbe corretto affermare che l’intera popolazione
della Namibia segue la fede cristiana e la pratica in modo simile alle più
importanti chiese europee. La religione cristiana è stata influenzata da molte
tradizioni locali, ma ha mantenuto una propria identità e non si è mai separata
dalla cultura tradizionale.
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